Podobne
 
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e su chi sarebbe stato meglio alla presidenza della Rai e alla presidenza della repubblica e alla
presidenza del consiglio; su uno sceneggiato in cinque puntate da L'amplesso mimetico che
avrebbe potuto essere diretto da un regista francese o da un tedesco o da un italiano, ognuno dei
tre con i suoi meriti indiscutibili. Flaminio Foni aveva un modo cardinalizio di parlare, che
corrispondeva alla sua figura secca, ai suoi capelli folti come una spazzola di martora. Parlava
senza la minima fretta, come se gli interessasse solo sottolineare gli aspetti migliori di persone e
situazioni. Pierluciano Susti era molto più compresso: a tratti si impuntava in un rapido giudizio
velenoso, con gli occhietti azzurri che brillavano di eccitazione, le piccole narici dilatate. Polidori
sembrava a suo agio con loro, non cercava di adattare il suo tono o di sfumare il suo punto di
vista. Diceva quello che pensava quasi negli stessi termini di quando parlava con me, compresa
buona parte dei suoi giudizi politici e dei suoi giudizi su quello che veniva prodotto dalla
televisione. Foni e Susti d'altra parte non si offendevano: sembrava che gli riconoscessero una
specie di impunità d'artista, e un'altezza pari alla loro nella scala del potere. Si divertivano alle sue
osservazioni più dure: Susti come una palla di gomma dura che rimbalza, Foni con un sorriso di
tolleranza distante.
I camerieri hanno portato il cibo, e Foni e Susti ci si sono dedicati con grande impegno; la
conversazione si è spostata su argomenti gastronomici prima di tornare agli intrecci di governo e
paragoverno.
Io stavo zitto e guardavo: avevo sentito parlare di loro in modo ossessivo alla redazione di
Prospettiva, li avevo visti in fotografie dov'erano vestiti negli stessi completi blu ministeriali di
adesso. Da un punto di osservazione così lontano mi erano sembrati delle entità quasi astratte,
parte della strategia dei partiti per il controllo dell'informazione, ma a vederli seduti a tavola con
Polidori avevano un'aria affabile e anche disinvolta, senza tracce evidenti di protervia. Lo stesso
ero completamente tagliato fuori dalla conversazione; non riuscivo a capire come mai Polidori mi
avesse telefonato con tanta urgenza per farmi partecipare a questo pranzo.
Invece quando siamo arrivati al caffè e Foni aveva già guardato una volta l'orologio, Polidori
ha detto: «Non abbiamo parlato di Roberto».
«Certo, parliamone», ha detto Susti, e quando sorrideva il suo naso aguzzo sembrava un
piccolo becco.
Flaminio Foni ha detto: «Be', non c'è molto da parlare. In queste cose ho una fiducia quasi
cieca nel tuo giudizio, lo sai». Beveva il caffè a piccolissimi sorsi: ci si bagnava appena le labbra,
come in un piccolo rito sublime.
«Allora?», ha chiesto Polidori, e mi ha strizzato l'occhio.
Foni ha detto: «Allora quando il libro esce cercheremo di non farlo passare inosservato». Mi
ha sorriso quasi paterno, ha detto: «Eh?». Poi si è alzato, mi ha dato la mano, senza quasi
mettere forza nelle dita così che mi è sembrato di stringere una seppia bollita, tiepida e morbida.
Ha salutato Polidori, appoggiandogli anche una mano su una spalla, e Susti con poco più di un
gesto; è uscito con il suo autista e la sua guardia.
Pierluciano Susti è rimasto seduto a finire il caffè; mi ha detto: «Venga a trovarmi uno di
questi giorni, così parliamo un po'. Si faccia dare l'indirizzo da Marco».
Gli ho detto: «Grazie», anche se non capivo di cosa avremmo dovuto parlare.
Poi anche Polidori si è alzato, e Susti è saltato in piedi nel suo modo da palla di gomma, mi
ha dato la mano ed è andato verso l'uscita sottobraccio a Polidori, tra i saluti finti solleciti dei
camerieri. Il suo autista ha trangugiato il digestivo che aveva davanti, è corso fuori. E il
capocameriere ha portato a me il conto. Ero rimasto da solo vicino al tavolo: è venuto e mi ha
messo il piattino con il foglietto in mano. Ho guardato fuori attraverso la vetrina, ma Polidori ha
salutato Susti che si infilava in macchina e poi ha attraversato la strada, con le mani in tasca [ Pobierz całość w formacie PDF ]
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