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delle matematiche ad assicurare la stabilità delle costruzioni, Parigi 1805. Un testo che altri non avevano ritenuto nemmeno degno di confutazione. Se c'era dunque un uomo a cui la notiziola proveniente dalle Vetrerie Rail poteva interessare, quello era Hector Horeau. Tanto che riprese in mano le forbici, ritagliò il trafiletto pensando che la mancanza di qualsiasi annotazione sull'indirizzo della Ditta Rail confermava una volta di più l'inutilità delle gazzette, e uscì precipitosamente di casa per recuperare qualche informazione in più. Il destino dà appuntamenti strani. Non aveva fatto dieci metri, Hector Horeau, che vide il mondo ondulare impercettibilmente. Si fermò. Un altro avrebbe pensato al terremoto. Lui pensò che era di nuovo quello stramaledetto démone che gli giocava nella testa, nei momenti più impensati, inspiegabile canaglia, fottuto fantasma che senza avvertire, tutt'a un tratto gli lordava l'anima con quel tanfo di morte, subdolo nemico bastardo che lo rendeva ridicolo al mondo e a se stesso. Ebbe il tempo di pensare se ce l'avrebbe fatta a raggiungere di nuovo casa sua. Poi crollò a terra. Quando rinvenne era sdraiato su un canapé di un negozio di tessuti (Pierre e Annette Gallard, dal 1804), circondato da quattro facce che lo osservavano. La prima era di Pierre Gallard. La seconda di Annette Gallard. La terza di un cliente rimasto anonimo. La quarta di una commessa di nome Monique Bray. Fu in quella - precisamente in quellache lo sguardo di Hector Horeau si incagliò, e più in generale tutta la sua vita si incagliò, e più in generale ancora il suo destino si incagliò. Non era poi una faccia bellissima come lo stesso Hector Horeau non ebbe mai difficoltà ad ammettere negli anni seguenti. Ma ci sono navi che si sono incagliate nei posti più assurdi. Una vita si può ben incagliare in una faccia qualunque. La commessa che si chiamava Monique Bray si offri di accompagnare Horeau a casa. Lui, meccanicamente, accettò. Uscirono insieme dal negozio. Non lo sapevano, ma stavano, simultaneamente, entrando in otto anni di tragedie, strazianti felicità, ripicche crudeli, pazienti vendette, silenti disperazioni. Insomma, stavano per fidanzarsi. La storia di tale fidanzamento - che poi riassume la storia del progressivo spappolamento della vita interiore e psichica di Hector Horeau, con conseguente trionfo di quel démone a cui se ne doveva l'inizio - ebbe svariati episodi degni di menzione. La sua prima conseguenza diretta, comunque, restò quella di far giacere nella tasca dell'architetto il ritaglio relativo al "Brevetto Andersson delle Vetrerie Rail": rinviando all'infinito ogni ulteriore indagine al riguardo. Il biglietto fu riposto in un cassetto, dove ebbe modo di riposare per anni. Più propriamente: di covare sotto la cenere. In otto anni - tanti ne durò la storia con Monique Bray - Hector Horeau firmò tre costruzioni: una villa in Scozia (in muratura), una stazione di posta a Parigi (in muratura) e una fattoria modello in Bretagna (in muratura). Nello stesso arco di anni egli propose centododici progetti di cui novantotto consacrati all'ideale dell'architettura in vetro. Non c'era praticamente gara d'appalto a cui non partecipasse. Regolarmente le giurie rimanevano colpite dall'assoluta genialità delle sue proposte, lo menzionavano con onore e lode, e assegnavano il lavoro a più pragmatici architetti. Benché non ci fosse praticamente nulla di suo, in giro, da ammirare, la sua fama incominciò a circolare con insistenza negli ambienti che contavano. Lui rispondeva a quell'ambiguo successo moltiplicando le proposte e i progetti, in una progressiva spirale di abnegazione al lavoro a cui non era estranea l'ansia di trovare delle zattere su cui salvarsi dalle maree del suo fidanzamento, e in generale dai fortunali psichici e morali che la signorina Monique Bray aveva la consuetudine di riservargli. Paradossalmente, più la sua salute veniva spolpata dalla suddetta signorina più i suoi progetti inseguivàno gigantismi proibitivi. Aveva appena finito di mettere a punto la sua proposta per un monumento a Napoleone dell'altezza di trenta metri con percorsi interni e punti panoramici sull'enorme corona di alloro posata sulla testa, quando lei gli comunicò, per la terza e non ultima volta, che lo abbandonava annullando le pratiche di matrimonio già avviate. Cosi come, non a caso, fu l'efferato episodio in seguito al quale la signorina Monique Bray finì
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